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Scavi e scoperte

LA CURIOSITÀ E LA VOGLIA DI SCOPRIRE TUTTI I SEGRETI DI UN LUOGO MAGICO

L’attuale museo, al momento dell’acquisto da parte della famiglia Montemurro nell’anno 2003, era utilizzato come cantina. Vi era la presenza, infatti, di un torchio in ferro, una vasca di cemento utilizzata per la fermentazione del mosto e varie botti di affinamento. Il locale della molazza presentava le ruote della macina appoggiate su un basamento circolare, sopraelevato rispetto al piano di calpestio, composto da pietra di forma trapezoidale. I cordoli di quella che una volta era la molazza erano disposti a terra. La presenza della base di una pressa alla genovese, il foro di una vite senza fine sulla volta, e, lasciato come fosse uno stampo nel muro, l’alloggiamento di quello che probabilmente era il torchio principale facevano capire come l’evoluzione dell’ipogeo avesse nascosto quello che molto tempo prima era il frantoio.
Durante i lavori di ristrutturazione spinti dalla curiosità di verificare la pavimentazione esistente, al di sotto dello strato di terra battuta, sono stati effettuati dei piccoli scavi di sondaggio. Ciò ha permesso di far emergere, sotto la pavimentazione, una zona piena di materiale di risulta. Una volta rimosso, si è riconosciuto un manufatto circolare con il fondo rivestito da mattoncini in terracotta. Aumentata la curiosità, è stata intensificata la ricerca di altre testimonianze per cui sono stati effettuati altri piccoli scavi i quali hanno portato alla scoperta, a venti centimetri dal primo pozzetto, di una zona anch’essa riempita di materiale di risulta coperta in parte da gradini, la cisterna più grande del sito. Questa era ricoperta da uno strato di coccio-pesto (materiale edilizio utilizzato come rivestimento impermeabile composto da frammenti di laterizi, tegole o mattoni, minutamente frantumati e malta fine a base di calce aerea). La scoperta di altri pozzetti e di pietre, utilizzate precedentemente come basi delle presse, hanno invogliato ad asportare tutto il materiale di risulta presente nella grotta portando alla luce altri pozzetti rivestiti in coccio pesto, con il fondo rivestito di mattoncini in terracotta.
Nella parte inferiore dell’ipogeo, eliminati due basamenti in pietra utilizzati nel periodo in cui il locale era stato adibito a cantina per poggiare le botti del vino, emergevano con gli scavi nove vasche, pavimentate con chianche. Al momento del loro restauro, mentre si procedeva a ripristinare i muri divisori di quelli che erano considerati olivai, è stato scoperto che l’originale piano di calpestio non era quello. Con successivi scavi si è notato che le nove vasche erano comunicanti tra di loro. Continuando quindi con l’asportazione dei tre gradini di accesso alla grotta, si è ritrovato un ponticello in tufo, unica via di accesso alla grotta, all’epoca del frantoio.

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